Una volta, mentre camminava per le vie di Genova,
un ragazzo incrociò l’Incantatrice, che allungò la mano verso di lui come per fermarlo. Ma lui si fece largo tra la folla con aria ansiosa e se ne andò in tutta fretta. Tornato a casa, il ragazzo raccontò ai genitori: “Ho visto l’Incantatrice, tutta nera come un corvo, e ha provato a prendermi. Ce l’ha con me e finché vivo qui continuerà a cercarmi. Dovrò viaggiare in continuazione per non farmi trovare!”
E per quindici duri anni, il ragazzo continuò a cambiare casa, a cambiare città e paese, a cambiare lavoro, finché una sera, ormai un uomo adulto, si ritrovò all’ingresso di uno strano albergo a Malta, dove era in corso una grande festa. Incuriosito, l’uomo entrò, e mossi pochi passi si ritrovò faccia a faccia con l’Incantatrice in uno sfavillante abito bianco. La dea gli sorrise con aria sorpresa: “Ce l’hai fatta a venire! E pensare che a Genova, quel giorno, non sono riuscita a darti l’invito!”

Una volta, mentre camminava per le vie di Genova,
un ragazzo incrociò l’Incantatrice, che allungò la mano verso di lui come per fermarlo. Ma lui si fece largo tra la folla con aria ansiosa e se ne andò in tutta fretta. Tornato a casa, il ragazzo raccontò ai genitori: “Ho visto l’Incantatrice, tutta nera come un corvo, e ha provato a prendermi. Ce l’ha con me e finché vivo qui continuerà a cercarmi. Dovrò viaggiare in continuazione per non farmi trovare!”
E per quindici duri anni, il ragazzo continuò a cambiare casa, a cambiare città e paese, a cambiare lavoro, finché una sera, ormai un uomo adulto, si ritrovò all’ingresso di uno strano albergo a Malta, dove era in corso una grande festa. Incuriosito, l’uomo entrò, e mossi pochi passi si ritrovò faccia a faccia con l’Incantatrice in uno sfavillante abito bianco. La dea gli sorrise con aria sorpresa: “Ce l’hai fatta a venire! E pensare che a Genova, quel giorno, non sono riuscita a darti l’invito!”
In breve:
Grigio e asciutto il riassuntino, non trovi?
Se vuoi i dettagli piccanti in technicolor e hai la passione per la lettura, ecco la versione “romanzo russo”.
E un piccolo bonus per chi legge fino in fondo :)
Avrò avuto quindici, sedici anni.
Camminavo per le vie del centro di Genova in cerca di sollievo per i miei malesseri adolescenziali, quando venni fermato da un ragazzo alto e magro con una giacca di jeans. Si presentò e, con modi garbati ma un po’ passivi-aggressivi, come se io fossi sospettato di un imperdonabile crimine morale e lui mi stesse generosamente offrendo un’ultima chance per discolparmi, cominciò a pormi una serie di domande, che cominciava con “Hai qualcosa contro i ragazzi che cercano di uscire dalla tossicodipendenza?” - o qualcosa del genere.

Accadde esattamente qui, nel primo tratto che da Via San Vincenzo sale verso Via XX Settembre.
Domanda dopo domanda, risposta dopo risposta, arrivò a propormi di comprare una penna di plastica, fatta, disse, da dei ragazzi in una comunità per il recupero dalla tossicodipendenza. Non per i pochi centesimi che quella penna doveva valere, ma per 5000 lire. Alla fine accettai. Gli lasciai 5000 lire in cambio di quella penna, e tornai a casa sentendomi ancora peggio di quando ero uscito.

Bella, no? Al modico prezzo della tua autostima e senso di integrità personale.
Se oggi avessi lo script di quella conversazione, saprei spiegarti con tanto di diagrammi ogni meccanismo di persuasione applicato dal cialtrone, e mostrarti come gli stessi meccanismi vengono sfruttati ogni giorno da politici, propagandisti, pubblicitari, e poco di buono di ogni specie.
Se sei mai stato fermato in stazione da quello che deve tornare a casa dalla mamma in fin di vita e gli mancano solo pochi euro, o quello che è alla disperata ricerca dei soldi per le medicine per la sua bambina che è a letto malata, hai presente il tipo.
Ma a quel tempo, ero un ragazzino ignaro di queste cose, e l’episodio mi colpì profondamente.
All’epoca, 5000 lire per me erano tante. E anche se fossero state poche, erano un prezzo oltraggioso per una banale penna di plastica. Ma gliele avevo date. E gliele avevo date contro la mia volontà, sentendomi male nel farlo. Sentendomi ingannato, costretto, violato. Ma avevo fatto quello che chiedeva, senza che avesse dovuto minacciarmi o costringermi con la forza. Ero stato manipolato fino all’esecuzione di una richiesta assurda in meno di due minuti.
La mia reazione fu di rabbia, disgusto, vergogna, e forte perdita di autostima. Ancora oggi, provo un odio viscerale per i truffatori e i parassiti di ogni tipo e, istintivamente, auspico per loro pene più severe che per gli “onesti” rapinatori. Per anni conservai quella maledetta penna come monito.
Decisi allora che niente di simile poteva mai più succedermi. Che dovevo imparare a difendermi da questo tipo di attacchi.
Cominciai a studiare ogni testo di comunicazione e persuasione su cui riuscivo a mettere le mani (Kindle e Amazon Prime non erano un’opzione a quei tempi, e leggevo solo in italiano), insieme a libri sulla strategia, la manipolazione, l’inganno.

Le edificanti letture di quegli anni. E di molti a seguire.
Nelle arti marziali, che già allora praticavo con passione, si dice che l’unico modo per potersi difendere da un praticante del coltello è esserlo a tua volta. Sentivo che lo stesso valeva per le arti dell’illusione, dell’inganno, della persuasione: l’unico modo per difendermi era arrivare a padroneggiarle.

Naturalmente, “padroneggiare” queste cose era un compito superiore alle forze di quel ragazzino, con tutti i tipici problemi di un adolescente. Quello che imparai, però, fu di starne sempre in guardia. Capii allora che idee, immagini e parole possono essere armi più efficaci e pericolose di quelle che maneggiavo in palestra, e che, ogni giorno, milioni di persone subiscono a loro insaputa gli attacchi spietati dei praticanti di questa “magia nera”.
Paradossalmente, la conquista di questa saggezza mi avrebbe portato negli anni a scelte svantaggiose.
Quando si trattò di scegliere il mio percorso universitario - e quindi professionale - considerai a lungo la possibilità di intraprendere studi di psicologia o comunicazione, con l’idea di fare carriera in campo pubblicitario. Sicuramente avrei avuto successo: l’uso abile del linguaggio era un mio talento naturale - ero quello che prendeva i voti più alti nei temi senza studiare - e dopo anni di letture di “magia nera”, mi sarei mosso su un terreno conosciuto.
Ma era quello l’ambiente in cui volevo vivere? Le persone che volevo frequentare? Persone abituate a distorcere la realtà, o inventare balle di sana pianta, a indurre e sfruttare bisogni e paure per spingere le persone a dire SÌ contro il loro interesse?

“Esperti di comunicazione architettano una campagna elettorale per le elezioni regionali in Lombardia”, Anonimo, circa 1998
Purtroppo o per fortuna, la risposta fu un deciso “no.”
Scelsi invece la strada indicata da “quegli altri” miei talenti e passioni, cioè il racconto e l’uso comunicativo delle immagini. Mi iscrissi a una laurea triennale in DAMS (Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo), a Roma, con indirizzo Regia e Sceneggiatura cinematografica e televisiva. La mia idea era di entrare nel mondo del cinema. La mia aspirazione era di usare le arti narrative e visive per mostrare alle masse le possibilità che vedevo nel campo politico, sociale, scientifico.
In molti provarono ad avvisarmi che era una scelta perdente.
Nelle parole di mio cugino Francesco, che a quel tempo si era appena laureato in psicologia, quello che sarei finito a fare con una laurea del genere era “lavare dei gran cessi”.
Come era nel mio carattere a quel tempo, ignorai gli avvertimenti pensando che il mio talento e il mio impegno avrebbero prevalso sulle difficoltà del contesto. Un errore che avrei fatto molte volte prima di imparare la lezione.
Gli anni a Roma furono una specie di missione disperata in una dimensione parallela.
Ironicamente, non mi trovai mai a mio agio nell’ambiente del DAMS; quelli che gli studenti delle altre facoltà vedevano spesso come “creativi”, io li vedevo come dei viziati fricchettoni perdigiorno (per molti dei personaggi che si aggiravano in quella facoltà userei anche parole più forti, ma passiamo oltre). Mi sorse spesso il dubbio che mi sarei sentito più a casa in una facoltà di comunicazione a Milano.
Con altri, però, condividevo interessi importanti, e in loro compagnia ne andavo scoprendo di nuovi.
Tutta l’esperienza fuori sede fu, nell’insieme, un disastro altamente istruttivo, ma almeno una cosa era andata secondo i piani: molte materie corrispondevano esattamente alle mie aspettative e inclinazioni. In particolare, divoravo tutto quello che avesse a che fare con
- le strutture linguistiche e narrative
- gli archetipi narrativi ricorrenti nelle grandi storie di ogni cultura, e nei grandi successi della narrativa e del cinema di oggi
- la “grammatica” della comunicazione per immagini
Queste conoscenze non mi avrebbero mai portato al mondo del cinema, sui cui le mie illusioni venivano rotte una dopo l’altra in quegli anni, ma si sarebbero rivelate estremamente utili in altri ambiti.
E naturalmente, seguivo ogni corso che avesse a che fare con la comunicazione.
Ve ne fu uno in particolare, un breve modulo sulla “Divulgazione Scientifica”, che mi appassionò moltissimo. Il compito finale era scrivere una breve tesina su un argomento a nostra scelta. Io scelsi di trattare il dissenso in campo scientifico: come venivano proposte e ricevute nel mondo della scienza quelle teorie e discipline “alternative” che cozzano contro i dogmi della visione imperante in un dato periodo.
Non so che cosa mi prese, ma per quella tesina lessi più libri, cercai più fonti e lavorai più duro che per tutti gli altri corsi messi assieme.
Quello che andavo scoprendo era che, a dispetto dell’immagine della scienza e degli scienziati come imparziali garanti di una conoscenza obiettiva, nel mondo della scienza vigevano in realtà le stesse dinamiche psicologiche e sociali presenti in altri ambiti. Quello che viene presentato alle masse come il risultato inoppugnabile di processi di scoperta metodici e obiettivi è in realtà la posizione di individui o gruppi che hanno prevalso in conflitti del tutto simili a quelli del mondo della politica o della religione, con la differenza che la cosiddetta “scienza ufficiale” non ammette varietà di culto o partiti di minoranza, e presenta se stessa come detentrice e garante della Verità.
Quello che scoprii allora, e che non ho più potuto dimenticare, è che - come ogni altro gruppo - gli scienziati possono sbagliare, mentire, essere corrotti, manipolati, intimiditi; possono attaccarsi emotivamente a una teoria anche quando nuovi fatti la smascherano come errata, possono nascondere e contraffare reperti per proteggerla, possono riunirsi in lobby per ostracizzare le teorie emergenti, e proprio come delle autorità religiose, possono ignorare prove e fatti per proteggere dei dogmi, ricorrendo a ogni mezzo pur di screditare ed escludere gli scienziati “eretici”.
Passai tre mesi di estate romana (mi pare fosse il 2003) nella mia stanzetta da studente fuori sede in un casermone anni 60 senza aria condizionata a scrivere e riscrivere quella “tesina”, che alla fine diventò un librone di 300 pagine fitte. Per settimane, poi, dovetti portare il braccio al collo per via di un danno nervoso all’avambraccio causato dall’uso continuo del mouse e della penna e, penso, per via della mancanza di sonno. In quei pochi mesi avrò perso tra i cinque e i dieci chili.
Cosa mi spinse ad applicarmi in modo tanto ossessivo?
Oggi penso che fu da una parte la fame di verità e di giustizia, e dall’altra la realizzazione che la magia della persuasione era molto più profonda e molto più nera di quanto avessi sospettato fino ad allora. Scoprii cose che non posso nemmeno ripetere qui per non incorrere in problemi legali. Molte ancora ne avrei scoperte negli anni. Ma il succo della faccenda è che, proprio laddove ci viene assicurato che la verità è più chiara, certa e usata a nostro vantaggio, proprio lì si trovano alcuni degli inganni più raffinati e dannosi.
I corsi di comunicazioni di massa - che nelle intenzioni dovevano una rotellina più efficiente nel loro sistema - non fecero che confermarmi in questa idea: la “verità” e il consenso che guidano le vite di centinaia di milioni di persone sono costruite e difese da esperti manipolatori in modo sistematico e prevedibile. Ancora: magia nera.
E a livello lavorativo, come andarono le cose?
Negli anni del DAMS (anche grazie a quella “tesina” che attirò l’attenzione di vari insegnanti) coltivai varie relazioni di lavoro, alcune altolocate e molto promettenti. Al tempo, vivevo ancora nell’illusione che se fossi riuscito a presentare i prodotti del mio ingegno alle persone nelle posizioni giuste per promuovermi, queste avrebbero ricompensato il merito con opportunità lavorative.
Per anni scrissi soggetti per la fiction televisiva, proposi progetti di vario tipo, e mi impegnai a fondo per dargli vita. Se pensi che significhi qualcosa, mi ero laureato con 110 e lode con una tesi sul sistema delle comunicazioni di massa visto attraverso la lente della filosofia platonica. A lungo lavorai in un team creativo capitanato da un regista Mediaset, collaborando alla creazione di proposte per i suoi produttori. Forse lo sfiorai, il successo in quel mondo, chi può dirlo?
In ogni caso, come spesso succede nell’ambiente romano, dopo anni di speranze e promesse finì tutto in un niente di fatto. Tanto che ora posso sintetizzare tutto quel periodo in questi tre paragrafi, senza tralasciare nulla di importante. Sei anni dopo essermi trasferito a Roma, ne avevo avuto abbastanza di tutta quell’esperienza, così me ne tornai a Genova.
E come voleva la profezia, finii a lavare dei gran cessi.
Veramente, anche a Genova provai a lungo a far partire progetti creativi di vario genere, perfino nel campo del fumetto. Ma come succede a tanti laureati in materie umanistiche, non ebbi mai riscontri economici. Quando, con la morte nel cuore, mi rassegnai a fare il commesso o qualcosa del genere, scoprii che - per qualche strano motivo - anche quel tipo di lavoro mi era precluso.
Feci vari colloqui, ma nessuno sembrava interessato, probabilmente perché non davo ai superiori l’idea di uno strumento sufficientemente docile e mediocre. Il fatto che fossi pieno di bile per aver investito anni di tempo e fatica per poi ritrovarmi senza nulla di concreto in mano sicuramente non aiutò...
Passai alle agenzie di lavoro interinale, e via! A lavare i cessi. E i portoni. E le scale. Eccetera. Per stipendi che avrebbero umiliato persone con la metà delle mie qualifiche e conoscenze (tra l'altro, a quel punto parlavo già bene l'inglese e il tedesco). Sai quella fase della fiaba (o del film) in cui la Cenerentola di turno è relegata nonostante le sue qualità a spazzare la cenere nei camini? Ecco: per me erano veri e propri cessi.
Ovviamente, consideravo il lavacessi e affini un’occupazione temporanea in attesa di trovare altre strade alla pace economica, e continuavo ingenuamente, disperatamente, a coltivare interessi e talenti che forse, un giorno, non si sa come, mi avrebbero ripagato con un reddito dignitoso.
La sera di Halloween 2007, il destino colpì come un maglio.
Avendo nutrito fin dall’adolescenza la passione per le arti marziali, e in particolare per le tecniche di combattimento sviluppate in campo militare, avevo deciso di provare a intraprendere la strada di istruttore. Da mesi risparmiavo e mi allenavo duramente per un corso da istruttore di Krav Maga, a cui ero già iscritto. A chi avrei insegnato? In quale palestra? Chi mi avrebbe assunto? Dettagli…sicuramente, questa volta, il talento e l’impegno sarebbero stati ripagati.
Ma la sera del 31 ottobre, tutti i miei progetti andarono in frantumi. Tornavo dall’ultimo estenuante giorno dell’ennesimo lavoro temporaneo di un mese. Un magazzino di forniture navali in periferia, dove per un mese il “controllore” di turno aveva sfogato sul novellino a tempo determinato le sue frustrazioni.
Guidando lo scooter sulla strada di casa pensavo al mio corso da istruttore, al futuro, a dove mi sarei trasferito. Strada stretta e buia, asfalto bagnato dopo una giornata di temporale. A un incrocio, un ragazzino distratto mi centrò in pieno sul fianco, e feci uno di quei voli con rotolamenti rovinosi che vedi sempre nei film. Penso di aver sbattuto ogni singola parte del corpo su qualcosa; lo scooter, l’asfalto, il marciapiede, altre macchine. Ma anni di arti marziali, se non altro, mi avevano preparato a muovermi bene in quel tipo di situazione, e ne uscii sì pieno di lividi e strappi, ma intero.
Un’ambulanza - dico il vero - passava di lì per caso mezzo minuto dopo l’incidente, e mi raccattò per portarmi all’ospedale per i controlli di rito. L’infermiera, guardando lo scooter, la macchina, e me, non poteva credere che fossi vigile e in movimento.
All’ospedale, durante la notte, scoprii che purtroppo non ne ero uscito veramente intero.
Il manubrio dello scooter, girandosi violentemente nell’urto con la macchina, mi aveva rotto un minuscolo ossicino nel polso sinistro. E una volta scesa l’adrenalina in circolo, avrei potuto dirtelo anche senza i raggi X. Sapevi che il dolore è tanto più intenso quanto più e alta la concentrazione di nervi nell’area colpita? E sapevi che il polso è un collo di bottiglia per tutti i nervi della mano, che ovviamente ne ha a non finire? Io non lo sapevo, ma dopo l’esperienza di quella notte me lo ricorderò per sempre.
E la prima botta era solo un assaggino.
Il giorno dopo tornai in ospedale per farmi mettere il gesso. L’ortopedico principale era in vacanza, c’era un sostituto. Mi sistemò un gesso rigido “vecchio stile” che conteneva tutto l’avambraccio salendo fino al gomito. E me ne tornai a casa, pensando che fosse finita lì.
Quanto mi sbagliavo…
Nei giorni successivi, mentre riflettevo su quello che il periodo di recupero avrebbe significato per le mie sorti professionali, il dolore al polso si acquietò, ma si fece avanti un dolore diverso, più diffuso, intermittente, con epicentro in alto sull’avambraccio.
Dapprima pensai che fosse una sorta di “retrogusto” del danno al polso. Ma quando il dolore aumentò ancora, invece di calmarsi, chiesi a vari medici. Tutti minimizzarono dicendo che tutt’al più poteva essere un po’ di rigidità muscolare data dalla posizione obbligata del braccio al collo. Peccato che “un po’ di rigidità muscolare” mi causasse ormai un dolore tale per cui riuscivo a dormire non più di 2-3 ore per notte, e solo quando “perdevo i sensi” per sfinimento.
Sopportare un dolore deciso e incessante per settimane è un’esperienza che devi aver provato per capire davvero.
Non saprei definire chiaramente che cosa mi abbia insegnato; ma ancora oggi, sento che è stata una delle esperienze più formative della mia vita.
Dopo settimane di tortura, mio padre prese finalmente appuntamento con il chirurgo che l’aveva operato alla mano tempo prima. La sua reazione quando vide il mio gesso fu: “era dagli anni 70 che non vedevo una mostruosità simile.” Sicuramente stava comprimendo dei punti sensibili creando una infiammazione, andava rimosso al più presto. Cosa che fece, sostituendolo con una valva morbida.
Ma il dolore persisteva, e continuò fino a quando, finalmente, l’osso fu del tutto saldato e potei rimuovere la stecca. Dopo giorni e giorni di automassaggi, manipolazioni e prove riuscii finalmente a smuovere di nuovo i muscoli bloccati, e il dolore cessò.
Ma il danno era fatto.
Dalle analisi risultò che il primo gesso aveva compresso il nervo radiale all’altezza del polso, e con il passare dei giorni, l’infiammazione era divenuta così intensa da bruciarlo del tutto. Il medico che mi fece l’ecografia dichiarò che il nervo era spesso come una vena, e che non aveva mai visto niente di simile nemmeno sui testi di patologia. Ok.
La conseguenza fu che per quasi un anno (il tempo che occorse al nervo per ricrescere dal gomito alla mano) non potei aprire la mano sinistra. Altra ricca esperienza formativa di cui ti risparmio i dettagli. Comunque: niente corso da istruttore di Krav Maga. Niente lavoro da istruttore. E per circa un anno, niente lavoro e basta, neanche nei soliti cessi. Solo tanto tempo per riflettere e studiare.
Forse troppo tempo.
Fra le tante discipline “alternative” che avevo esplorato negli anni vi era anche il Feng Shui.
Probabilmente non sai nemmeno di cosa si tratti. La percezione di chi l’abbia almeno sentito nominare - o abbia letto un manuale da pochi euro di quelli che si trovano in libreria nella sezione “New Age” - è quasi sempre che sia una collezione di tecniche della tradizione cinese per “propiziare la fortuna” allestendo opportunamente gli spazi abitativi e lavorativi, in modo più o meno superstizioso, più o meno “magico”.
Anche se io stesso non avevo allora che testi divulgativi superficiali a mia disposizione, avendo esplorato a lungo la Medicina Tradizionale Cinese sapevo che i concetti su cui si basava il Feng Shui erano in realtà più profondi, e che la sua efficacia era quanto meno plausibile. Avevo cominciato a sperimentarlo sui miei spazi anni prima (chiaramente senza molto successo), e quando gli amici più “alternativi” avevano uno spazio da scegliere o allestire, mi chiamavano spesso a dire la mia. Finché qualcuno ebbe la bella pensata: “sei proprio bravo, perché non lo fai come lavoro?”.
Oggi potrei rispondere con una lista di decine di bullet-point, che ti risparmio.
Ma allora, l’idea mi colpì positivamente: perché no?
Il Feng Shui studiato a livello professionale era una disciplina ben più profonda e più degna di quello che potevano far sembrare i manualetti commerciali. Mi sembrava riunire tanti degli stimoli, suggestioni e passioni che avevo coltivato negli anni: le discipline orientali, il design, la psicologia.
O forse, i semi piantati nel mio cervello di bambino da decine di visioni ripetute dell’indimenticabile Grosso Guaio a Chinatown avevano finalmente dato i loro frutti.



Semplicemente indimenticabile.
Fatto sta che caddi ancora una volta nella solita trappola:
tentare di fare di una passione un lavoro, senza preoccuparmi dell’aspetto economico.
Così mi misi in cerca di notizie e corsi più seri sull’argomento. In Italia la scelta non è certo ampia, e approdai subito a Creative Feng Shui. Il corso base mi colpì favorevolmente; chiesi all’istruttrice se lei davvero si manteneva facendo quello, e la sua risposta fu affermativa.
Oggi avrei anche una lista a bullet-point di domande più intelligenti, come ad esempio:
- qual è lo stile di vita richiesto da questo tipo di lavoro? i tempi di lavoro e svago sono ben bilanciati?
- quali sono le possibilità di ulteriore formazione e crescita professionale?
- come è ricevuta questa proposta negli ambienti professionali al di là dell’immagine popolare?
- quanto tempo e soldi richiede mediamente l’acquisizione di un cliente?
- con che genere di persone ti trovi a lavorare facendo consulenze?
- quanto può aspettarsi di guadagnare un consulente di Feng Shui al top della sua professione?
- quanti anni di pratica richiede, mediamente, la scalata al top?
- …e molte altre.
Ma a quel tempo, sentirmi dire che sì, si poteva vivere di qualcosa che non mi facesse sentire che stavo buttando la vita nel cesso (per poi doverlo anche lavare) mi sembrava già una specie di svolta, come penso lo sembri oggi a molti.
Non a caso, parte del problema era che l’istruttrice stessa non avrebbe comunque saputo rispondermi alle domande più rilevanti ai fini economici.
Pur avendo perso la causa con l’ospedale (grazie a un perito medico presumibilmente corrotto), avevo ricevuto un discreto indennizzo dall’INAIL perché l’incidente era avvenuto entro i 30 minuti dalla fine dell’orario di lavoro, sulla via di casa. Decisi di investirlo in una formazione professionale con Creative, che mi avrebbe impegnato due anni e più. Durante buona parte della formazione dovetti fare il pendolare tra l’Italia e la Danimarca, dove nel frattempo mi ero trasferito nella speranza di trovare là un mercato migliore per questa proposta così strana e rara.
E indovina cosa facevo in Danimarca per mantenermi durante la formazione?
“Lavavi i CESSI!”
Beh, anche, ma stavolta nel contesto di un lavoro più “eccitante”: nel pittoresco quartiere della droga di Copenhagen avevo trovato un posto da cameriere in un ristorante spagnolo diretto da un piccolo despota francese di nome Benito (ebbene sì) il quale, per via della coca e del vino, alternava in modo casuale momenti di aggressività scriteriata ad altri di cortesia trasognata.
Per darti l’idea del personaggio e dell’ambientino, riporto qui una recensione a una stella lasciata su Tripadvisor ancora sette anni dopo la mia esperienza:
Went there on a Wednesday night and grabbed one of the plenty free tables. The owner came to our table and was already very rude, complaining that we did not follow the "rules" of waiting to be seated (even though there was no such information nor 'reserved' signs on the tables). When paying, he started an argument with us and said he is "the boss and doesn't give a ****" that we didn't know the rules. He recommended I should be a macho with my girlfriend but not with him after I disagreed with him. I'd rather fly to Spain to eat Tapas than come back again. Would not recommend!
Una ventata di ospitalità mediterranea nelle lande nordiche. Una cosa che bisogna riconoscergli è che il cibo era buono, per quanto troppo caro.
Era il 2009, la crisi era arrivata anche in Danimarca proprio nel periodo in cui io mi trasferivo; così il capo mi lasciava spesso a gestire da solo la cucina, i tavoli, i piatti e la cassa. Ogni tanto, sul finire della serata, arrivavano dei tossici da film a piantare i casini più strani e dovevo vedermela anche con loro, in un misto di inglese, danese, e gesti universali.

Lavoravo letteralmente nella via dove si svolge gran parte del primo capitolo della trilogia di Pusher.
A proposito: da intellettuale solitario, ho sempre odiato i lavori di servizio a stretto contatto con il pubblico. L’unico che mi sia mai piaciuto è stato fare il commesso in un negozio di cibi biologici in Germania.
Il ristorante spagnolo a Copenhagen mi faceva rimpiangere gli “amorevoli” rimbrotti del controllore di quel magazzino navale. Ma se non altro, la paga era ottima rispetto all’Italia, e imparavo più abilità sociali che in qualunque corso. Nella classifica delle esperienze formative, questa si colloca sotto il dolore incessante durato settimane, ma non di molto.
Nel frattempo, poiché ero sì commercialmente sprovveduto, ma anche intraprendente, avevo cominciato a fare un po’ di consulenze Feng Shui, e soprattutto a mettere su un sito con l’aiuto di un caro (e paziente) amico webmaster. Quel sito era ancora lontano da come lo imposterei oggi, ma da un certo punto di vista, fu un grande successo.
Avevo concluso la formazione con Creative da pochi mesi quando i miei insegnanti mi contattarono per farmi una proposta incredibile: unirmi alla scuola come consulente e insegnante a mia volta. A quanto pareva, i miei interventi nei corsi, il mio esame e infine il mio sito avevano fatto una così buona impressione che quando si trattò di allargare il team, fui il primo candidato.
Naturalmente, questo avrebbe significato tornare in Italia.
E io avevo investito molto nella mia avventura danese; ho ancora un diploma a pieni voti per l’esame di danese che ogni nuovo cittadino deve passare.
Ma entrare in Creative, la scuola più conosciuta e stimata in Italia, significava catapultarmi dai piani bassi direttamente all’attico con vista della mia disciplina a livello nazionale, così accettai.
Il primo anno fu un caleidoscopio continuo di lezioni e scoperte. Ma fu anche molto duro. In Danimarca ero sì un po’ derelitto, ma ero abituato a una realtà internazionale in cui lavoravo al ristorante con il capo francese e un cuoco polacco, uno cubano; vivevo tra i danesi ma studiavo arti marziali russe da un istruttore brasiliano, Fàbio, le cui lezioni erano frequentate principalmente da baltici, serbi e altre nazionalità dell’est (di italiani neanche l’ombra).
Una realtà strana e un po’ straniante, ma che avevo lasciato a malincuore; ora mi ritrovavo in una realtà tutta italiana, nel bene e nel male. A cominciare dal fatto che da noi la crisi economica era ben più aspra che nel Nord Europa.
Ora, lascia che ti dica qualcosa in più sul Feng Shui. Sul Feng Shui autentico.
Sotto gli strati recenti di superstizione popolare fatti di spiritelli e amuleti si cela quella che è forse la scienza olistica più vasta e profonda che abbia mai incontrato. Il Feng Shui autentico non è “pensiero magico”; è lo studio degli effetti che gli ambienti naturali e artificiali hanno sul corpo e sulla mente umana nel breve, lungo e lunghissimo periodo. Pur avendo letto di psicologia e avendo bazzicato le discipline orientali per anni, non ero preparato alla profondità della visione offerta dal Feng Shui autentico. Padroneggiarne i principi e applicarli agli spazi di vita e di lavoro significa allineare con i tuoi obiettivi le stesse forze della natura.
E questo a livello solo individuale. Le scoperte delle antiche scuole cinesi che si sono combattute e succedute nei secoli in campi disparati come quello urbanistico, militare, economico, medico e genetico sono inestimabili, e avrebbero un effetto rivoluzionario se studiate e applicate seriamente su larga scala. Applicato agli spazi di un’azienda, il Feng Shui può influire sulle sorti di decine o centinaia di persone. Applicato all’urbanistica, di una città. Applicato ai monumenti nazionali e agli edifici del potere - un Parlamento, un Ministero della Difesa, una Borsa - può cambiare il destino di intere nazioni e, in nuce, del mondo.
Questo enorme potenziale era quello che mi aveva ispirato anni prima a farne la mia professione.
Purtroppo, la visione che il pubblico generale aveva del Feng Shui dall’esterno era ben diversa. Anche tra i frequentatori più assidui delle discipline cosiddette “alternative”, è una piccola minoranza a interessarsi di Feng Shui. E chi lo fa, lo fa tipicamente nell’ottica del benessere personale, cercando regolette e consigli per rendere la casa più “armoniosa” o produrre gli effetti “magici” in campo economico o romantico promessi dai libri prodotti per quel tipo di pubblico.

Più armonia per tutti, yeeeeee
In altre parole, il valore dei nostri servizi era completamente sconosciuto alla stragrande maggioranza delle persone, e anche tra le poche che ne avevano il sentore, era fortemente sottostimato.
Prima di convincermi a tornare in Italia avevo chiesto ai miei insegnanti su che tipo di reddito avrei potuto contare unendomi a loro.
Le loro risposte furono più che soddisfacenti, anche perché le mie domande furono molto ingenue rispetto a quelle che farei oggi (listone di bullet-point, ora anche insieme al pratico raccoglitore).
Ma una volta rientrato, abbandonando anni di investimenti materiali e umani al Nord, scoprii che - proprio in quel periodo - Creative cominciava ad accusare sempre più duramente gli effetti della “crisi” economica, e indovina un po’? I guadagni erano molto, molto inferiori alle promesse.
A quel punto, la realtà della situazione mi colpì tutta insieme: avevo investito quasi 10.000 euro e anni di sforzi per acquisire una professionalità che oltre a essere travisata, svalutata, perfino derisa (dire all’italiano medio che sei un consulente Feng Shui è come dirgli che fai il cartomante o il sensitivo) - non mi avrebbe mai portato le ricompense economiche che meritavo.
Avevo acquisito conoscenze rare e preziose. Potevo offrire servizi di altissimo valore. E lavorando come un mulo, avevo un reddito inferiore a quello di un cameriere novizio nelle parti peggiori del quartiere Vesterbro a Copenhagen, e minori aspettative.
Era il 2012, l’anno in cui compivo 30 anni e per cui una volta era prevista la fine del mondo (profezia dei maya). Quasi rimpiangevo che non fosse arrivata.
Credevo onestamente di aver perso l’ultimo treno. Di aver “rotto” per sempre la mia vita.
Per mesi vissi in bilico tra la depressione e l’esaurimento nervoso. Nel frattempo, le cose in Creative si erano evolute e, ironicamente, il mio status nella scuola era ulteriormente salito. Ne ero a questo punto il co-direttore, insieme al mio insegnante Stefan Vettori. Una posizione da cui, sebbene non avessi un reddito più alto, avevo una visione più chiara - e quindi più tragica - del reale stato dei fatti.
Sentivo anche una responsabilità maggiore. A questo punto non ero più un subordinato, e non ero nemmeno esattamente un freelance. Per quanto il momento fosse critico, ero pur sempre asceso ai massimi livelli di un’organizzazione nazionale prima nel suo ambito con alle spalle una storia di successo di quasi vent’anni.
Forse fu questo, in parte, a darmi la scossa.
La depressione si trasformò gradualmente in indignazione e fame di riscossa.
Il Feng Shui era quello in cui avevo investito e adesso, in un modo o nell’altro, dovevo trovare la strada del successo.
La visione più diffusa del Feng Shui è errata? La dovrò cambiare.
Il cliente medio non ha idea del reale valore di una consulenza? Glielo dovrò comunicare.
La scuola fa numeri molto più bassi del suo potenziale? Li dovrò alzare.
Cosa feci allora?
Mi buttai a testa bassa nello studio del marketing, in ogni aspetto che potesse servirmi a raggiungere il mio scopo.
Che fossero pure le arti nere di uno stregone di Mordor addestrato dai Sith nel lato oscuro della forza. Non importava più, il marketing era la mia unica via d’uscita dal disastro in cui mi ero cacciato.
Gli anni dal 2012 al 2014 furono anni di formazione molto intensa, spinta dalle pressanti necessità pratiche di un’attività difficile in anni ancora più difficili. Non è il tipo di formazione che ricevi dando esami su libroni di teoria per accumulare crediti formativi; è il tipo di formazione dove mettere le crocette nel test è un investimento di settimane di lavoro o centinaia di euro, e i voti te li danno i clienti sul conto in banca.
Inizialmente si trattò di quelle competenze “ancillari” richieste dal mio ruolo di insegnante e consulente, come scrivere manuali didattici, relazioni, strutturare, organizzare e tenere corsi dal vivo, eccetera.
Ben presto, però, mi dedicai a studiare strategie promozionali, a scrivere pagine di vendita e testi per l’educazione del pubblico, inserzioni Facebook, a seguire corsi di design, di content marketing, di branding…dopo che pagammo quasi 3000 euro a un’agenzia per un sitino ridicolo di cui oggi potrei consegnarti una versione molto più estetica e più efficace nel giro di tre giorni, presi anche a cercare e studiare tutti i software che mi avrebbero reso autonomo nella gestione delle piattaforme online.
Insomma, oggi lo posso dire: pur essendo co-direttore della più nota scuola di Feng Shui in Italia, in quel periodo mi occupai forse più intensamente di marketing che di Feng Shui.
Questa volta, i miei sforzi furono ripagati.

Insieme a Stefan, trovammo il modo non solo di traghettare oltre la crisi, ma perfino di espandere Creative Feng Shui, che in quegli anni vide crescere costantemente la lista mail e i contenuti del sito, ma soprattutto il parco clienti, l’offerta dei corsi e una piccola squadra di insegnanti e consulenti.
Un altro ne sarebbe stato soddisfatto, ma non io.
Dal punto di vista dei risultati, l’esperienza di quegli anni poteva considerarsi un successo. Ma dal punto di vista personale, io non lo sentivo come tale. Certo, eravamo riusciti a crescere anche in un periodo difficile. Ma dopo questo tour de force, e dopo centinaia e centinaia di ore di corsi di marketing, di esperimenti e di esperienze sul campo, l’obiettivo di correggere l’idea errata del Feng Shui e diffonderne la conoscenza nel pubblico generale mi appariva più lontano che mai.
Non solo: pur avendo migliorato molto, le ricompense economiche restavano del tutto sproporzionate al tempo e all’impegno profusi nell’attività.
A questo punto, avevo imparato che se vuoi avere soddisfazioni economiche e mantenere un buon equilibrio vita-lavoro ci sono attività facili e attività difficili. E in questo senso, praticare il Feng Shui in Italia era un’attività molto, molto difficile.
Infine, avevo fatto maturato una consapevolezza a dir poco destabilizzante:
trovavo lo studio e la pratica del marketing molto più motivanti del Feng Shui.
Era chiaro che la situazione non poteva durare, e sul finire del 2014, Stefan e io decidemmo di separarci. Per via dei molti impegni della scuola e dei progetti in via di sviluppo, la separazione non fu del tutto serena, soprattutto per me: per ragioni contrattuali (altre lezioni imparate a caro prezzo - listone di bullet-point) nel momento in cui decidevo di uscire dovevo all’azienda la bellezza di 16.000 euro. Avendo investito parecchio nei corsi di marketing negli ultimi anni, non li avevo.
E non avevo nemmeno molto tempo per raccoglierli: eravamo a gennaio 2015 e, sempre per ragioni contrattuali, la cifra dovuta sarebbe aumentata rapidamente per ogni mese di ritardo, fino ad arrivare a quasi 30.000 euro se avessi avuto ancora un debito aperto all'inizio dell'estate 2015.
L’altra cosa che ovviamente non avevo più era un lavoro. Et voilà.

L’unica cosa che avevo dalla mia erano le conoscenze di marketing acquisite negli ultimi anni e…
...un corso video di decluttering.
…?
Se sei come la stragrande maggioranza della popolazione, il “decluttering” non sai nemmeno cosa sia (di nuovo). Te la faccio breve: è un insieme di principi e tecniche studiati per eliminare dal proprio spazio gli oggetti inutili che lo rendono scomodo, antiestetico e opprimente.
O almeno questo è quello che si intende comunemente. Il corso avrebbe dovuto essere il primo esperimento in una nuova serie di corsi video proposti dalla scuola, e me ne ero occupato io in modo esclusivo.
Un motivo era la mia familiarità con il linguaggio video.
Un altro, purtroppo, era la mia familiarità con la cosiddetta disposofobia, nota anche come “disturbo da accumulo”. Questa condizione, a lungo assimilata sui manuali di psichiatria al disturbo ossessivo-compulsivo, è quella di chi è spinto a raccogliere continuamente oggetti di vario tipo, con cui riempie a dismisura il proprio spazio abitativo, che rifiuta tenacemente di liberare.
Nei casi gravi, il disturbo crea vere e proprie emergenze sanitarie e di sicurezza pubblica:


E anche quando non si arriva a tanto, l'accumulo compulsivo non ha mai risultati carini.


Anche nei casi meno gravi, il disturbo influisce pesantemente sulla vita del soggetto e anche di chi gli sta intorno, che si sente continuamente oppresso, irritato e umiliato da questo comportamento per lui incomprensibile.
Il disturbo può sembrare relativamente innocuo, ma convivere con un accumulatore è un’esperienza che lascia il segno, tanto che negli Stati Uniti esistono interi gruppi di supporto dedicati esclusivamente ai figli di accumulatori compulsivi, che manifestano malesseri psicologici di vario tipo. Fondamentalmente, soffrono di una forte svalutazione personale e di ansietà continua.
Non proprio quello a cui pensavi quando ti ho descritto il decluttering, vero?
Ora, si dà il caso che il disturbo da accumulo si trasmetta di generazione in generazione. Non è chiaro se le cause siano genetiche, psicologiche o un misto delle due, ma quello che era chiaro a me era che la mia famiglia rientrava decisamente in uno di questi filoni.
La casa dei miei nonni era stata così riempita di oggetti inutili da mio nonno che, ancora anni dopo la sua morte, era impossibile svolgere una normale manutenzione. Un bel giorno, la combinazione fatale di un tubo del gas che perdeva e una scintilla dall’impianto elettrico ormai vecchissimo fece di tutta la casa un potente falò (pareti ricoperte di vecchi libri). Mia nonna, che aveva rischiato di morire bruciata viva insieme a mia cugina, venne a stare da noi, arrivando una notte con la valigia con ancora la puzza di fumo addosso.
La mia esperienza della materia era quindi lunga e molto personale, così avevo deciso di fare del corso qualcosa di più della solita guidina all’organizzazione dello spazio domestico.
Il mio corso, Fai spazio alla vita, è rivolto a chi ha un comportamento di accumulo non troppo grave da cui sente di voler uscire, e non è tanto un corso di decluttering quanto di crescita personale, in cui il decluttering è una tecnica di supporto.

La pagina di vendita dice testualmente: un percorso che ti accompagna passo-per-passo da una condizione di ristrettezza e ansietà a una di libertà e sicurezza sul piano fisico e mentale.

“Proprio quello che mi servirebbe, ma è meraviglioso! Dove posso trovare questo balsamo per l’anima?” Il corso è ancora disponibile qui.
Per la cronaca: quello che allora non sapevo ma oggi so è che un corso del genere ha un mercato molto, molto ristretto perché, tipicamente, chi ha questo problema non si sogna minimamente di affrontarlo, e anzi resiste tenacemente.
Ma tornando al mio enorme e urgente debito…
Essendo al 100% un mio prodotto, Fai spazio alla vita sarebbe rimasto di mia esclusiva proprietà. A fine gennaio il corso era pronto: tutto quello che dovevo fare era pubblicizzarlo e lanciarlo.
Un paio di mesi prima avevo conosciuto per via di amici comuni Andrea Bruno, che come forse saprai (io allora non lo sapevo) è metà del magico duo Dario e Andrea. Dario e Andrea erano stai i tipici “ragazzi prodigio” del web, di quelli che a 18 anni facevano 2000 euro al mese smanettando con siti di nicchia e videocorsi su WordPress. Erano famosi per essere diventati esperti quotati di business e web marketing ancora giovanissimi.

Andrea ed io ci eravamo piaciuti subito, così lui e Dario mi aiutarono a preparare il lancio del corso.
Gli anni di studio del marketing mi avevano preparato su molti livelli, e ormai parlavo anch’io la “lingua” degli esperti.
Ma niente avrebbe potuto prepararmi alla prima esperienza del lancio di un infoprodotto.
Specialmente in una situazione così critica. Immagina di avere un debito di 16.000€ pronto a crescere come un fungo velenoso se non dovessi riuscire a saldarlo nel giro di qualche settimana. Immagina di averne circa 3000 sul conto, e immagina di aver lavorato per 12-14 ore al giorno per mesi per confezionare decine di video, di pagine web, di email e quant’altro. Hai pianificato una strategia di vendita, certo, ma è il primo lancio di quel corso, ed è il primo lancio di un prodotto per te in assoluto. Non sai come il pubblico risponderà alle tue comunicazioni. Quello che sai è che ballano decine di migliaia di euro.
E ballano appese al filo di una serie di software che controllano l’invio di email, il caricamento delle pagine e dei video, la ricezione dei pagamenti, l’accesso all’area utente per chi ha acquistato il corso, eccetera, ognuno dei quali deve lavorare bene insieme agli altri.
Il lancio dura una settimana. Basta un errorino in uno dei software e il sistema si rompe.

Il lancio partì.
Con una serie di inserzioni Facebook ottenni centinaia di nuovi contatti da aggiungere alle persone della lista di Creative che avevano mostrato interesse per l’argomento. Tra gli uni e gli altri, ottenni una lista di circa 2000 persone.
Il lancio prevedeva una settimana di “educazione” del pubblico, poi l’apertura delle vendite per un’altra settimana. Per la prima settimana di educazione una serie di cinque video gratuiti. Erano cinque video particolari, diversi dai soliti video di marketing, perché istintivamente li avevo formulati attingendo alle mie conoscenze di sceneggiatura. Andrea li aveva dichiarati sproporzionatamente belli per il compito che dovevano svolgere (nel senso: ma sei matto, troppo sbattimento per una funzione così semplice).
Ma penso che mi capirai: ero alla prima esperienza di quel tipo e la posta in gioco era altissima.
Misi non solo nei video, ma in ogni più piccolo elemento del progetto ogni stilla di energia e impegno che potevo spremere dalla mia mente ormai provata, mettendo a frutto tutte le conoscenze acquisite negli anni.
Comunque, i video furono molto apprezzati e commentati, e all’apertura delle vendite, partimmo bene. Ci furono subito decine di acquisti.
Ma dopo un giorno, il fato tornò a colpire: l’errorino nei software ci fu, e il sistema si ruppe.

Corsi febbrilmente ai ripari con l’aiuto di Andrea e di un tecnico dell’assistenza del software, quello che regolava l’accesso all’area utente. Continuavano a uscire nuovi bug, mentre io cercavo di rimediare con soluzioni alternative costruite “al volo”, tutto purché i clienti potessero continuare ad acquistare.
Non appena ebbi miracolosamente risolto il problema con il software di protezione e accesso, partì un problema con il sistema di pagamenti di Paypal.
Tu forse non mi crederai, penserai che me lo stia inventando per creare un effetto drammatico, e invece è la verità: quasi ogni singolo giorno di quella settimana ci furono dei malfunzionamenti dei software. Ne resta traccia dettagliata in questo articolo che scrissi per rispondere alla domanda di una cliente del corso, pochi giorni dopo il primo lancio.
Ricordo i giorni di quel lancio come alcuni dei più stressanti della mia vita.
Ma con l’aiuto di Sant'Andrea (Bruno), tutti i problemi tecnici vennero miracolosamente risolti o aggirati.
Il problema adesso era un altro...
Eravamo a metà settimana, e le vendite non bastavano ancora lontanamente a coprire il mio debito.
Ma quanti soldi puoi aspettarti di fare da un corso di decluttering lanciato su una lista di sì e no 2000 persone, molte delle quali non ti hanno sentito nominare fino a quando hanno cliccato un’inserzione Facebook una settimana prima?
Da settimane, Andrea provava a prepararmi psicologicamente all’eventualità che le vendite non bastassero a fare i soldi necessari. La versione standard del corso era venduta a 197€; per i clienti regolari dei corsi di Creative c’erano anche una versione a 147€ e una a 97€, a seconda del livello dell’allievo.
In lista avevo circa 2000 persone. Se non hai mai provato l’ebbrezza del lancio di un prodotto digitale, può sembrarti un ottimo numero. Da totale neofita, mesi prima i miei pensieri erano del tipo: “beh, se di 2000 persone anche solo il 30% acquistasse a 197€, sarebbero già più di 130.000€!”
Beata gioventù.
Ci pensò Andrea a ridimensionare le mie aspettative, chiarendomi che in questo tipo di operazione arrivare al 2% di conversione è già un ottimo successo.
2000 persone x 0,02 = 40 vendite
40 x 197€ = 7880€ = FAIL

…e molti acquisti venivano dalle offerte a prezzi più bassi.
Puoi immaginare il mio stato d’animo in quei giorni di metà settimana, in cui gli inconvenienti tecnici continuavano a picchiare come un martello pneumatico e a volte non arrivavo alle 10 vendite al giorno.
Ma non era detta l’ultima parola: secondo Andrea, il giorno in cui di solito si fa il numero maggiore di vendite è sempre l’ultimo giorno prima della chiusura, e in particolare le ultime 4-6 ore.
Sì: dopo mesi di lavoro estenuante, le mie sorti economiche e professionali erano appese al filo degli eventi di quelle poche ore, quella domenica 11 febbraio del 2015.
Secondo te quante vendite ottenni?

A vendite chiuse e conti fatti, il primo lancio della mia carriera ebbe una stratosferica conversione dell’11% del pubblico, per un incasso di oltre 21.000€.
Dario e Andrea non ci potevano credere. In tutti i loro anni di esperienza con business e lanci di ogni tipo, non avevano mai visto nulla di simile, né in Italia né altrove.
Fu per me uno dei più grandi momenti di svolta nella mia vita.
Quello che avevo imparato e applicato aveva funzionato davvero: potevo davvero usare il marketing per vendere i prodotti del mio ingegno, senza passare per mecenati e datori di lavoro.
Ero libero.
E visto che il primo lancio di quel corso era andato così bene, pensai di poterne subito ricavare un reddito più regolare aprendo un piccolo blog sull’argomento.
Il sito, che puoi ancora trovare online, si chiamò Decluttering Efficace. Ebbi più volte occasione di pentirmi di quel nome, ma che dire, errori di gioventù. In compenso, nel giro di un anno il blog ebbe un successo tale che, oltre a continuare a portarmi un reddito di base con le vendite del corso, mi posizionò come una personalità importante nella nicchia della progettazione ambientale in Italia.
Riviste come L’Altra Medicina Magazine e Yoga Journal mi chiedevano articoli e interviste.


Intervista per Yoga Journal del luglio/agosto 2016. Puoi trovare qui il pdf dell'intero articolo.
Una volta collaborai perfino a un testo uscito per Mondadori sul rapporto tra l’eccesso di peso corporeo e le abitudini di “pesantezza” e “ingombro” in altri ambiti.

Ma un bel giorno, quasi per un altro decreto del fato, persi improvvisamente la possibilità di promuovermi su quello che era stato il mio principale canale pubblicitario. Una triste storia che non racconterò in questa sede.
Sulle prime fu uno shock: il mio traffico (e soprattutto le mie vendite) scesero del 90%.
A questo punto - mi pare che fosse il 2016 - avrei potuto mettermi al lavoro per implementare strategie di promozione e traffico alternative. Ma il decluttering, nemmeno nella forma più profonda da me proposta, non era mai stato la mia passione. Non era la mia occupazione principale, e in fondo non avevo bisogno di quei soldi.
Perché qualche mese dopo il mio primo lancio, Dario e Andrea mi avevano chiesto di collaborare con loro. Avevo accettato senza pensarci due volte: con il marketing avevo trovato il mio riscatto, e lavorare con due esperti navigati e noti in tutta Italia era un’occasione d’oro per formarmi come professionista.
Furono anni stupendi: cosa c’è di meglio che lavorare a progetti entusiasmanti, in una materia sempre ricca di stimoli, insieme a persone eccezionali con cui sei in piena sintonia?
E naturalmente, tra i servizi ai clienti e i progetti che andavamo architettando per il nostro luminoso futuro insieme, ebbi la migliore formazione sul campo in cui può sperare un relativo novizio.
Purtroppo, come spesso accade, le cose belle finiscono presto.
Il nostro progetto più ambizioso fu anche l’ultimo insieme. In quegli anni non esisteva ancora nel panorama italiano un corso di alto livello su come costruire blog autorevoli specificamente orientati al guadagno. Tra tutti e tre avevamo maturato le conoscenze giuste per assemblarlo, quindi decidemmo di occupare quella nicchia.
A me venne affidata la parte sulla generazione rapida e regolare di contenuti di alta qualità e, modestamente, ne uscirono dei video didattici così utili che a volte torno anche io a guardarmeli!


Qualche spiritosone commentò salacemente che sembrava una pubblicità per la ricrescita dei capelli, da sinistra a destra...:)
Il corso, che chiamammo Blog Elite, fu un pieno successo di vendite al primo lancio.
Il blog che avevamo rilanciato per promuovere il progetto su uno dei vecchi siti di Dario e Andrea andava alla grande. Ancora oggi mi chiedo a volte come sarebbe andata se avessimo semplicemente proseguito su quella strada…ma evidentemente non era destino.
Il corso ebbe successo, sì; ma per la nostra ostinata ambizione di farne un prodotto superiore a ogni corso che avevamo seguito noi sugli stessi argomenti, e la determinazione a rispettare ogni singola deadline del progetto, fu anche un’esperienza molto stressante.
Per me, nessun problema. Anzi: dopo anni di cessi e di lotte infruttuose, non mi sembrava vero di potermi finalmente stressare per qualcosa che mi portava laute ricompense economiche e professionali.
Ma a differenza di me, Dario e Andrea a quelle ricompense ci erano abituati da quando erano ragazzini. Con l’esperienza di Blog Elite maturò in loro la consapevolezza di volere qualcosa di più. Con il marketing avevano ottenuto notorietà e ottimi guadagni, ma si erano anche imposti stili di vita logoranti; e ora, la passione che li aveva sostenuti negli anni si era esaurita.
Inizio per loro la ricerca di una strada diversa, che li portò a proporre servizi di coaching da una prospettiva molto più profonda e pregnante.
Per me, invece, la passione per il marketing era ancora viva e vegeta.
Perciò, sebbene a malincuore, proseguii da solo su quella strada. Vedevo e vedo ancora possibilità da esplorare, progetti da realizzare.
Da quando mi vidi porgere quella penna in una via del centro di Genova, molte cose sono cambiate.
Faccio un lavoro pieno di ricompense sia economiche sia umane, per cui mi alzo carico ogni mattina. Un lavoro che mi dona (e mi impone) ogni giorno nuove occasioni di apprendimento e crescita. Applico i miei talenti e le abilità che ho maturato in anni difficili per aiutare persone con problemi simili a quelli che avevo io un tempo: “umanisti” pieni di idee e voglia di fare e riuscire, ma commercialmente sprovveduti. E che soddisfazione.
Non vedo più il marketing come una sorta di “magia nera” impiegata da persone senza scrupoli per avvelenare le menti e depredare gli onesti. Certo, la comunicazione persuasiva può essere usata in questo modo, e lo è. Ma la mia esperienza e quella dei tanti clienti che avevamo seguito negli anni mi hanno dimostrato come il marketing possa essere applicato per far emergere persone e idee di valore, e conquistare spazi che altrimenti sarebbero stati occupati dagli avvelenatori.
Quello che oggi so è che la comunicazione persuasiva ha la natura del farmaco: può essere veleno, e può essere cura. La mia aspirazione è di usarla come cura: una “magia bianca”, che fa risplendere il valore con la verità, al di sopra degli inganni.
Complimenti! Sei arrivato in fondo.
Per premio - :) - ti dico qualcosa in più sul personaggio della storia, così ti godi di più le prossime puntate.
Un amico mi ha definito un “creativo ingegneristico compulsivo”, nel senso che provo irrequietezza e disagio se non sono al lavoro per costruire qualcosa di utile e bello. Mi è pesata un po’ perché ci ha preso in pieno.
Tra gli interessi seguiti negli anni oltre a quelli di cui hai già letto: tanta calistenica e fitness in generale, logica e argomentazione, tecniche di apprendimento…e metal detecting, ma me la sono dovuta far passare subito perché le leggi italiane ti tolgono tutto il divertimento. Peccato perché questa della “caccia al tesoro sepolto” mi aveva preso veramente bene.

Adoro i cani ma il mio stile di vita non mi ha mai permesso di averne uno. Anche perché per affinità elettiva sono attratto dalle razze da lavoro.

Al massimo potrei gestire uno di questi toy dog da genio del male.
Amo i giochi di tattica e strategia.
Il mio videogioco preferito è forse tuttora Frozen Synapse. Seguito a ruota da Slay the Spire. Il mio gioco da tavola preferito è Siedler von Catan (la versione in carte, da due giocatori).
Non che abbia molto tempo da passare giocando. I “giochi” del marketing sono più difficili ma più redditizi :)
Come avrai intuito, amo il genere fantastico e fantascientifico; preferisco le serie ai film, perché danno modo di esplorare più a fondo trame e personaggi, come in una serie di romanzi anziché un racconto breve.
Da ragazzino ascoltavo in continuazione i Doors e dei R.E.M., ma oggi mentre lavoro e mi alleno ascolto soprattutto colonne sonore e Synthwave. “E che è la Synthwave?”
È questa:
Turbo Knight - Mirrorverse
Super Radical - Savage Streets
Fractal Man - Glimpses of Starlight
Carpenter Brut - Hang 'em all
Tokio Rose - The pact
Perturbator - I am the night
Xetrovoid - Welcome to Cyboria
3FORCE - Nuke
Dynatron - Stars of the night
Ora forse vuoi sapere qualcosa di più anche su…
Le mie regole
Quali principi seguo nella costruzione del successo (mio e altrui).
La mia specialità, e come lavoro
Tutti abbiamo qualcosa in cui diamo il massimo. Però nel marketing paga anche avventurarsi al di fuori delle competenze più forti.